Tuesday 8 October 2013

Notturni Londinesi


Notturni Londinesi - Notte di Capodanno

Fra meno di un'ora arriveranno tutti, Mark con Judith, Steve con Helen e James con Gertrude, e presto anche Norman sarà di ritorno, giusto in tempo per farsi l'ultima doccia di un anno fortunato. Gli affari della grande azienda che dirige sono andati a gonfie vele, i bambini crescono e sono felici, sua moglie Mary gli vuole bene. E sotto la doccia penserà proprio a lei, alla sua intelligenza nel crescere i figli, alla sua capacità nel condurre le casa e nell'organizzare feste e cene con gli amici, come questa di Capodanno, che per fare una cosa stravagante Mary ha voluto preparare da sola, senza l'aiuto delle due donne di servizio, che in un altro appartamento della casa dovranno badare soltanto ai bambini.

Qualche mese prima, i programmi per questo Natale erano ben diversi, infatti Mary parlava spesso di una vacanza ai tropici; programma poi cancellato per i grossi impegni di Norman già nei primi giorni di gennaio. E appena saputo che anche Judith e Helen sarebbero rimaste a Londra, Mary ha pensato che era l'occasione giusta per celebrare insieme l'arrivo del nuovo anno; argomento quotidiano imperante, sin dagli inizi di dicembre, nel corso delle lunghe telefonate tra lei e le amiche. Recentemente però è accaduto un episodio singolare che Mary non è ancora riuscita a decifrare. Telefonandole con insistenza, in questi ultimi giorni Judith ed Helen l'hanno quasi obbligata ad invitare James e Getrude, una coppia che con Norman ha sempre frequentato poco; una coppia che non le ha mai suscitato grosse simpatie; lui è sempre esagerato in tutto, mentre la moglie passa come una delle più antipatiche in circolazione. Diversamente da Norman che non ha sollevato alcun problema per questo insolito invito, Mary ha invece continuato a porsi diversi interrogativi sul comportamento di entrambe le sue amiche, e poche sere fa, tornando dal supermercato con Evelyn, una delle cameriere, ha pensato che con ogni probabilità Mark e Steve non erano al corrente che Judith ed Helen, poco prima di sposarsi, avevano avuto un flirt con James Davies.
In attesa di uscire, Mark è seduto su un piccolo divano da dove può vedere sua moglie Judith, seminuda, intenta a truccarsi il viso davanti allo specchio del bagno.
Festeggiare è l'ultima cosa a cui vorrebbe pensare. Se l'operazione chirurgica e le cure intensive alle quali verrà sottoposto nelle prime settimane del nuovo anno, non miglioreranno il suo stato di salute, questo sarà l'ultimo Capodanno della sua vita. E nel tormento di questi pensieri, con distacco torna ad osservare Judith. Ora vede bene il suo seno nudo, indovina il suo sesso sotto gli slip. Potrebbe alzarsi, andarle vicino, accarezzarla, pregandola poi di fare l'amore, velocemente, prima di andare a quella cena a casa di Mary e Norman. Ma sa bene come lei reagirebbe. Mark che ti prende? proprio ora che dobbiamo uscire. Fra l'altro siamo anche in ritardo. A volte proprio non ti capisco. Conosce il carattere di Judith, ma solo in queste cose, mentre in realtà non sa nulla della sua vita. Lui è sempre al lavoro; un lavoro aziendale che lo ha totalmente inghiottito, costringendolo a lunghe assenze, a continui viaggi all'estero; ritmi che gli hanno impedito di contrastare la vita assolutamente indipendente della moglie; una moglie che gli pianifica inoltre quel poco tempo libero di cui può disporre. Lui deve soltanto guadagnare denaro, al resto penserà lei.

Se il loro schema matrimoniale si presenta apparentemente come lo stesso di quello tra Mary e Norman, la mancanza di figli e la completa libertà di Judith, hanno reso questo rapporto matrimoniale una sorta di macchina programmata, fredda e rigorosa, nella quale anche i sentimenti hanno subito la legge del più severo autocontrollo. Appena a conoscenza della sua malattia, Mark infatti non ne ha parlato con Judith, ma con Mr.Hamilton, suo avvocato e consigliere personale. E mentre si alza dal divanetto per avviarsi verso i garage, pensa a quella cena di fine anno, alle persone con le quali non ha più nulla da dirsi, e pensa anche a James Davies personaggio ambiguo che ha il coraggio di presentarsi come finanziere; saltimbanco che sfrutta ancora il blasone della sua decrepita famiglia per farsi credito, mentre tutti sanno bene che oltre a non avere alcuna risorsa finanziaria si trova con circa la metà dei beni ipotecati.
A differenza di James Davis l'universo di Mark è tutt'altra cosa. Già i suoi genitori possedevano grossi capitali; beni che lui ha saputo incrementare investendo in tre attività industriali .
Eppure, nonostante questi traguardi, trovandosi faccia a faccia con una gravissima malattia, ha il terrore di dover ammettere di aver avuto una vita importante ma inutile; stato d'animo, che dal dubbio, lo ha portato lentamente alla totale convinzione che Judith lo abbia sposato soltanto per denaro; consapevolezza rafforzata dalla stessa Judith nella sua tenace opposizione all'adozione di un bambino. Essendo una coppia non in grado di procreare, Mark desidera un erede a tutti i costi, e ha interpretato l'atteggiamento di Judith come quello di una donna che non vuole impegni per poter continuare a vivere in assoluta libertà; ma soprattutto l'atteggiamento di una donna che vuole avere tutto il patrimonio sotto controllo, senza possibili interferenze di un figlio. Questa diversità d'opinione su una decisione di tale importanza ha rotto un'armonia, che seppur fragile, era in grado di dare equilibrio a un matrimonio, che negli ultimi mesi si è trascinato fra incomprensioni e apatie. Ma forte per sua disgrazia di un orgoglio che lo rende cieco, Mark ama ancora sua moglie; unica persona che in qualche modo gli ha dato in questi anni un poco d'affetto, togliendolo da genitori, che quando erano in vita, sapevano parlargli soltanto di denaro.
Mark esce dal garage e Steve ed Helen partono da casa. James e Gertrude invece sono ancora nel loro appartamento e stanno litigando. Lei non è assolutamente contenta di andare a quella cena, e insiste nel dire che l'ultima sera dell'anno avrebbe voluto trascorrerla in un altro posto. E' sicura che si annoierà a morte. James non le risponde, accende il televisore e fissa lo schermo. Trascorrono alcuni minuti, e sentendosi più calma Gertrude si avvicina al marito. Ha l'aria di chi vuol chieder scusa. James spegne il televisore e l' abbraccia. Si baciano con passione eccitandosi. James vuol fare l'amore prima d'uscire. Gertrude dice che è pronta per andare a quella cena, e che se faranno l'amore dovrà poi riordinarsi e truccarsi di nuovo. James risponde che non deve fare altro che alzare la gonna e calarsi le calze e gli slip. Non la toccherà in viso. Lei subito sbuffa, poi acconsente. L'amore è tanto veloce quanto violento. Nel rivestirsi Gertrude si lamenta. Sono in gran ritardo quando finalmente decidono di muoversi verso casa di Norman.
James mette in moto la macchina, e Gertrude, in piedi accanto alla portiera, ritorna al pensiero di un figlio; cosa al momento irrealizzabile perchè James non vuol saperne di bambini e la obbliga a prendere la pillola. Si convince che molto presto James cambierà parere e nel sedersi accanto a lui dice, non è vero?
Non è vero cosa? non capisco.
Non fa nulla.
Gertrude emette una risatina frivola, James fa un gesto con la mano, come per dire, sei impazzita?
Frattanto Steve ed Helen si stanno avvicinando a casa di Mary e Norman. Mark e Judith sono appena arrivati.

Mark è seduto nel salotto e sta parlando con Norman. Judith è in cucina. Sta facendo i complimenti a Mary per lo stravagante menù della serata.
Durante il tragitto Mark non ha aperto bocca, ha solo risposto a Judith quando ad un certo punto ha detto, è una sera molto limpida, si vedono tutte le stelle del cielo.
Si, è una notte molto bella.
Spero che il prossimo sia un buon anno.
Lo spero anch'io.
Anche Steve ed Helen in macchina non sono loquaci. Helen non ha alcuna voglia di parlare, e Steve, come sempre, si adegua rimanendo in silenzio. E' sempre lei a determinare il clima della loro unione. Steve è l'ultimo rampollo di una ricca famiglia, certo non ricca quanto quella di Mark, tuttavia quanto basta da potergli permettere di non lavorare. Sono infatti il padre e gli altri suoi due fratelli a dirigere una conosciuta catena di ristoranti e caffè londinesi. Steve non ha mai dimostrato talento per gli affari, cosi come per qualunque lavoro in genere.
Davanti a casa di Norman e Mary, Steve dice che sarebbe meraviglioso pensare ad avere un figlio nell’anno nuovo. Helen puntualizza che è una cosa su cui si dovrà pensare bene, molto bene. Perchè? chiede Steve.
Helen scende dall'auto senza rispondere.
Steve rimane confuso, ma è solo un attimo; nella sua mente ora c'è solo la festa e la possibilità di bere in abbondanza. E prima di seguire la moglie, pensa che il discorso del figlio si riprenderà in un altro momento, quando Helen sarà più tranquilla, certo non in quella notte di Capodanno.

James si è fermato in un pub per vedere un amico, ed è rimasto dentro per almeno dieci minuti. Rientrato in auto, ha trovato Gertrude furiosa. Sarà un'ora che ti aspetto! ma per chi mi hai preso? gli ha urlato.
Senza scomporsi, James ha reagito alle sue urla dandole un ceffone in piena faccia, e lei è scoppiata in una crisi di pianto, durata sino adesso, quando mancano solo pochi isolati alla casa di Mary. Sapendo di essere ormai arrivata, Getrude accende la piccola luce dalla sua parte per rifarsi un poco il trucco, soprattuto sulla guancia arrossata dal ceffone. James continua a guidare senza dire nulla. Poco prima di girare per l'ultimo pezzo di strada, lei si volta verso il marito. Scusami per prima, ma non arrivavi più.
Avvicinati, dice James toccandole le cosce.
Lei gli getta le braccia al collo.
Piano sto guidando.
Getrude sorride. Avevi ragione tu, hai fatto bene ad accettare questo invito, vedrai che non mi annoierò. Hai ancora voglia di me?
Dopocena, tutta la notte.

Ormai la loro macchina è ferma davanti a casa di Mary e Norman al n°3 di Halkin Street. Come per le grandi occasioni, dentro e fuori tutte le luci sono accese.
Norman, Mary e tutti i loro ospiti sono in piedi vicino alla tavola apparecchiata con oggetti sontuosi. Causa il ritardo, James e Gertrude sono stati salutati con un certo  imbarazzo; tuttora si avverte un po' di gelo nell'aria. Steve sembra quello più a suo agio. Beve e sorride. Mark cerca di essere di buon umore ma si vede lo sforzo. Il più naturale sembra James che sta parlando con Norman, a dir la verità un po' impacciato. Mary è agitata e presissima nel fare gli onori di casa. Ha il volto in fiamme. Gertrude è  appiccicata al marito.
Le più tese appaiono Judith, ma soprattuto Helen, che per darsi tono si mette a bere. Steve la guarda con espressione stupita, considerato che Helen non beve quasi mai, e intanto  si domanda chi guiderà al ritorno. Judith è astemia, Mark beve poco, ha paura di non sentirsi bene.
Ancora alcuni secondi e tutti si siedono; moquette in terra color panna, tappeti orientali, pareti tappezzate di quadri d'autore, candele in centro alla tavola, musica di sottofondo.
Grazie al vino l'atmosfera si fa subito più rilassata. James parla tantissimo. E' lui ad essere il polo d'attrazione della serata. Mark lo ascolta, fingendo di essere distratto dalle portate di Mary. Norman è molto divertito da James, che parla saltando fra politica, finanza e sport.

Judith si alza per dare una mano a Mary. Steve la guarda con aria trasognata, e intanto segue il filo dei vari discorsi ai quali non interviene, continuando a bere smodatamente; come sua moglie Helen, guardata con orrore da Judith mentre va verso la cucina.

Fra una pietanza e l'altra Mary si siede per prendere parte alla cena, anche lei sembra divertita dalla loquacità di James. Gertrude continua a rimanere zitta, lanciando soltanto qua e là sguardi alteri, che esprimono il suo orgoglio per la brillante personalità del marito.

Norman é compiaciuto dalla presenza di James, senza di lui la serata sarebbe molto tediosa, anche per colpa di Steve ed Helen, che han tutta l'aria di volersi prendere una sbornia pesante. Per non parlare poi di Mark, del suo aspetto da funerale, e di sua moglie Judith che sembra una mummia. Svegliatosi improvvisamente Steve invita tutti ad un brindisi dedicato a Mary per i prelibati piatti che ha preparato. Ognuno si alza goffamente, levando il calice al cielo. E ci sono altri tappi di bottiglie che saltano, accompagnati da urla di gioia e da espressioni di palese disagio. Judith ad esempio dopo aver guardato James con ammirazione, getta sul marito un'occhiata quasi minacciosa. Le ore passano e i brindisi si susseguono incalzanti. A proporli sono sempre Steve, Norman e James. Mark va spesso al bagno, Steve è ormai completamente ubriaco; ma c’é chi è più ubriaco di lui, Helen, che a fatica riesce a reggersi in piedi. Judith continua a fissarla con aria mista di compatimento e disgusto. Helen se n'è accorta.

Manca poco a mezzanotte quando Judith si alza ancora una volta per andare ad aiutare Mary in cucina. Helen la raggiunge. A tavola rimangono James che ora non parla, e Getrude che da poco si è messa a chiacchierare con Norman. Steve è sprofondato nel divano. Ascolta la musica e canta sottovoce. Anche Mark non è a tavola. E' seduto su una poltrona poco distante e osserva i quadri. Tutti stanno aspettando il dolce da mangiare a mezzanotte, insieme ad altro champagne per brindare al nuovo anno. Ed è proprio in questo momento che dalla cucina giungono le voci di un alterco. Norman si alza di scatto spaventando un poco Gertrude e dice con aria allarmata, ma che succede?
James e Mark abbandonano l'aria smarrita per concentrare la loro attenzione su quanto sta accadendo. Steve continua a cantare come se niente fosse. Gertrude si avvicina a James.
Ma chi ti credi di essere? tutti riconoscono la voce di Helen; la voce di una persona ubriaca.
Hai bevuto, è meglio che tu stia zitta. E' Judith a parlare.
Ah si, sono ubriaca? riprende Helen urlando. Credi che non mi sia resa conto che è tutta la sera che mi guardi con sufficenza con quella tua faccia di merda? stai tranquilla, mica te lo rubo il tuo James, anzi, sai che ti dico? che sei libera di sbattertelo tutte le volte che vuoi il tuo bel stallone James.
Sbigottita, dopo aver preso per un braccio Helen, Mary cerca di portarla di sopra, via dalla cucina, ma lei si divincola con forza e riprende a strillare verso Judith. E ti dirò di più, io presto ci faccio un figlio con Steve! non mi importa più nulla nè di te, nè di quel porco di James, hai capito farfallona?
Rimanendo fredda e controllata Judith grida, Steve! per favore, vieni a prendere la tua piccola Helen, è completamente partita... ma non fa in tempo a finire la frase, perchè Helen con la mano semichiusa la colpisce sulla bocca. Judit barcolla, e con il corpo urta il tavolo di cucina, da cui cadono diversi arnesi producendo un acuto frastuono metallico.
Norman corre verso la cucina, e quando entra vede Mary sconcertata accanto a Judith che fa l'impossibile per darsi un certo contegno. Helen approfitta dello scompiglio per scagliarsi ancora contro di lei, ma Norman la ferma con tono minaccioso, Helen ora basta, calmati!
Arriva Steve. Pieno di alcol come si ritrova, pensa che Helen e Judith abbiano scherzato. Avete ragione, dice, è ora di festeggiare il nuovo anno, dice con aria festosa. Nessuno gli dà retta.
Mancano solo pochi minuti alla mezzanotte. Guardata a vista da Norman, Helen continua a fissare Judith che aiutata da Mary si sta sciacquando e tamponando la bocca sul lavandino. Mary le chiede se sente dolore. Lei non risponde. Senza avere risposta Steve continua a domandare cos’è successo.
In sala da pranzo, impassibile, Mark sta fumando una sigaretta.

All'inizio della lite, James si è alzato nervosamente da tavola, seguito dallo sguardo ferino di Gertrude che sembra inchiodata alla sedia, poi si é messo contro ad una delle vaste finestre guardando fuori. Ed è ancora nello stessa posizione. Mark è a pochi metri da lui.
E’ passata la mezzanotte e nessuno se ne é accorto, a parte Steve, che dopo aver aperto un'altra bottiglia sta ancora cercando invano bicchieri da riempire.
Mark si è rifugiato in uno dei tanti bagni della casa, e cosi ha fatto anche Judith. James si é messo il cappotto ed è uscito. Trascorsi alcuni istanti Norman l'ha raggiunto. Ora passeggiano vicino a casa. Parlano.

James gli racconta apertamente i suoi rapporti con Helen e Judith; rapporti che sembravano chiusi, ma che negli ultimi tempi erano ripresi.

Mark nel bagno si sente male, ha dei forti giramenti di testa. In cucina Steve riempie un bicchiere porgendolo alla moglie che non lo degna nemmeno di uno sguardo, e subito dopo va in salotto a riempire il bicchiere di Gertrude, l’unica a non essersi ancora alzata da tavola, e cosi cerca di fare anche con Mary, che con la palma di una mano copre il bicchiere, scuotendo la testa.

Helen é seduta attorno alla grande tavola della cucina; resti di cibo e bicchieri sporchi ovungue. Arriva Mary e si siede accanto a lei. Non parlano. Hanno i visi stravolti. Di sottecchi Helen guarda Steve con odio, con tanto odio come mai le era capitato nella vita; guarda il beato Steve che con un bicchiere in mano intona una canzone di Natale.

Mark e Judith si incontrano nel corridoio del piano superiore della casa.
Mi auguro che non avrai dato peso alle parole di quella stupida ubriaca, dice Judith.
Non ho voglia di parlare, desidero soltanto uscire da questa casa.
Ti ripeto che erano le parole di una persona ubriaca e isterica.
Ho detto che non ho voglia di parlare. E' meglio ce ne andiamo via.

Mark scende le scale seguito a distanza dalla moglie pallida e con gli occhi sgranati. Salutano velocemente Mary, inchiodata sulla porta di cucina per evitare che esca Helen, e poi, furtivi come ladri, si inabissano nella gelida oscurità del vialetto. raggiungendo in un baleno l'automobile. Da lontano, mentre continuano a passeggiare parlando, Norman e James li vedono partire. Steve ha detto loro prima che uscissero, ve ne andate già?

L'automobile di Mark corre verso casa. Judith è affondata nel sedile con un'espressione non definibile. Dai marciapiedi che sfrecciano come lampi di fianco alla macchina in piena velocità, truppe di ragazzi fanno ruotare dei fuochi e gridano buon anno a tutte le vetture che passano. Appena li vede, Judith affonda sempre più nella pelliccia e nel sedile. Mark guida con movimenti secchi e nervosi. Il suo viso appare come una maschera di cera solcata da una smorfia di dolore.
Dopo poco anche James e Getrude se ne vanno. Con molto imbarazzo, ma non senza perdere la solita aria sprezzante che tiene in pubblico, Gertrude ha salutato Mary e Norman, comportandosi come se Steve (che era a pochi passi) non esistesse. James e Gertrude uscivano dalla porta ed Helen è scoppiata in una risata che ha raggelato ancora una volta 1'ambiente.

Considerata la sbornia solenne di questi loro due ultimi ospiti, Norman e Mary decidono di accompagnarli a casa. Se la polizia li fermasse sarebbero guai seri. Mary che non ha bevuto quasi nulla decide di guidare.

Quando sono nel vialetto, Steve dice che è presto per tornare a casa. Pronuncia questa infelice battuta, mentre a contatto con l'aria fredda e pungente della notte, rendendosi conto realmente di quanto è successo in quelle ultime ore, Helen scoppia a piangere stringendosi forte a Mary. Steve chiede il motivo di quella crisi, lei lo insulta dicendogli dell'idiota. Mary mette in moto, e Steve saluta un gruppo di ragazzi che in quel momento passa accanto a loro gridando. Buon Anno!

James e Gertrude sono entrati in casa. In auto Gertrude ha parlato ininterrottamente fra le lacrime, dicendo che non ha sposato un uomo ma un bastardo. Con il marito rimasto sempre in silenzio, ha quasi sempre ripetuto le stesse frasi, alternando al suo monologo singhiozzi e soffiate di naso. Prima di aprire la porta di casa, James ha cercato di abbracciare la moglie, ma lei lo ha respinto dicendo, vattene Giuda, non toccarmi!

Ora Gertrude e James sono a letto. Lui,in silenzio, fuma nel buio della stanza, lei non ce la fa più a sopportare quel silenzio, e muovendosi delicatamente sotto le coperte si avvicina al marito. Avanti, parlami, dice, raccontami tutto quello che è successo, farò ogni cosa pur di perdonarti.

E’ notte fonda, e in diverse parti dell'Inghilterra, come un po' in tutto il mondo, continuano i festeggiamenti per il nuovo anno. Anche Mary e Norman festeggiano. Lasciati Steve ed Helen a destinazione, appena in casa hanno stappato una bottiglia di champagne e si sono messi a mangiare la torta che era rimasta intatta nel frigorifero. Tra un sorso e l'altro ridono ripercorrendo le varie fasi della zuffa tra Helen e Judith.

Non abbiamo proprio avuto modo di annoiarci questa sera. Passerà alla storia come l'ultimo dell'anno più stravagante e stupido che abbiamo vissuto, dice Norman.

Nonostante tutto l'alcol che ha bevuto, credo che Steve si sia reso conto di quanto è accaduto. Sono sicura che abbia fatto finta di niente. L'alcol gli é servito come alibi. Conoscendo il rapporto tra i due sono sicura di non sbagliarmi. Steve e veramente un incapace che non conta nulla. Se non fosse per il denaro che gli passa suo padre, non so proprio un tipo come lui come riuscirebbe a vivere. E poi è risaputo che Helen lo ha sposato per i quattrini, lei viene da una famiglia di poveracci. Ma avrei giurato che dopo il matrimonio la sua relazione con James fosse finita; non avrei mai pensato che lo avesse potuto rivedere nei giorni lasciati liberi da Judith. Erano e sono rimaste due puttane. Il matrimonio le ha addirittura peggiorate. A questo punto, sono pronta a scommettere che ci sono altri oltre a James. Non è una novità che Helen e Judith non hanno mai fatto molta fatica a farsi scopare.

E di Mark? cosa mi dici di Mark e della sua aria da padreterno ferito a morte.

E' sempre stato un megalomane, pieno di gas. Avrà molti soldi questo non lo metto in dubbio, ma è un pallone gonfiato. Lo sanno tutti che Judith si è sempre fatta scopare, prima e durante il matrimonio. Ma come suo padre e suo nonno, lui ha sempre e soltanto dato valore al denaro. Il fatto che la moglie si faccia scopare dalla mattina alla sera non lo disturba. Devo pensare cosi, non posso immaginare che sia cosi stupido da non essersene accorto. Hai visto anche questa sera, a parte la faccia da cadavere che comunque mostra in ogni occasione, non mi sembra che abbia avuto una grossa reazione. Ha caricato in macchina la sua bella, e via a casa come se niente fosse.

Già, hai ragione, una bella faccia di bronzo. Il prossimo fine anno però lo passiamo diversamente, d'accordo? ti ripeto che a tratti mi sono anche divertito, però a ripensarci sono stati tutti cosi patetici.

Patetici è la parola giusta. Non parliamo poi di quella Gertrude, una donna da incubo. In fin dei conti le sta ben fatto. E suo marito, con quell'aria da galletto.

Guarda che se non era per lui, a tavola non avrei saputo con chi parlare. E' un idiota, ma almeno per stasera è servito. Allora Mary siamo d'accordo, è l'ultima volta che portiamo in casa soggetti del genere per una cena di fine anno. Per altre cene si vedrà. Se proprio saremo obbligati.

Già, ma solo se ci troveremo nella condizione di ricambiare. Solo in questo caso. Altrimenti, da questa casa, fuori loro e le loro penose storie di sesso.
Nel medesimo istante in cui nella cucina al n°3 di Halkin Street, Norman e Mary traggono le loro spietate conclusioni sulla serata, visto che ubriaco com'era non è riuscito a salire le scale per andare in camera, Steve si è addormentato nel salotto a pian terreno, e sta russando a bocca aperta, facendo un frastuono orribile.

Seduta nella poltrona di fronte a lui, Helen lo guarda con repulsione. Ha smaltito la sbornia quasi completamente, e mentre accende una sigaretta, nella sua mente rivede il tradimento con James. Ogni  settimana un appuntamento con lui in una piccola casa fuori Londra; la stessa cosa che faceva prima di sposarsi. Ride di se stessa, continuando a ripetersi che è una miserabile; una patetica miserabile puttana, addirittura gelosa di Judith. Sapeva bene che James incontrava anche Judith, e sapeva pure bene che James preferiva Judith a lei.

Pensa alla sua vita triste, al matrimonio con quello stupido di Steve, voluto solo per dimostrare a Mary, a Judith, e a tutti quanti, che era capace di avere un uomo ricco tutto per lei; Steve, che continua a russare, sempre più forte; intanto che lei, sempre più forte, piangendo gli urla di smettere. No, non non cercherà più di rivedere James, chiuso, finito. Non le restano che tre scappatoie, il suicidio, andarsene, o fare a tutti i costi quel figlio di cui parla ormai tutti i giorni quel demente di Steve. Il suicidio, pensa, potrebbe essere la cosa migliore. Ma Judith e tutti gli altri riderebbero di me. Non gli darò mai questa soddisfazione. Andarmene? anche in questo caso mi schernirebbero a morte. E poi senza figli rischio di essere liquidata con due soldi. No, Helen non finirà così; Helen farà quel figlio, e poi ne farà un altro e un altro ancora. Cercherò di affogare i cattivi ricordi, tutta la mia vita. E se non ci riuscirò, se mi sentirò soffocare, farò sempre in tempo ad andaremene. Ma solo dopo aver chiesto soldi, tanti soldi.
Helen ha trovato un compromesso amaro e meschino, che gli consentirà di sopravvivere, anche se annientata dal rancore. E i figli, se verranno, non potranno farla vivere meglio. Ormai è guasta dentro, perduta; come se avesse una ferita aperta nell'animo, una piaga infetta. E poi sa bene che molto presto tornerà a tradire Steve.

James alla fine sarà perdonato da Gertrude. Il loro più che un matrimonio è una sceneggiata, dove continuano a recitare sapendo bene di vivere un rapporto confuso e ambiguo; è una sceneggiata che sta diventando sempre più insostenibile e pericolosa, per il motivo che James è destinato a rimanere presto senza alcuna risorsa finanziaria. Gertrude ha sopportato, ed è disposta ancora a sopportare un marito come James, a patto però che un giorno lui non le dica che è necessario cambiar vita, perchè le disponibilità di un tempo sono finite.
Rientrato a casa, Mark ha detto a Judith che sentendosi stanco non era assolutamente in grado di tenere alcun genere di conversazione.

Al limite da una crisi di nervi, Judith si è ritirata in camera sua senza replicare, e spogliandosi solo in parte si è gettata sotto le coperte spegnendo immediatamente la luce. In smoking, impeccabile, privo di espressione, Mark si è messo a bere. Sa bene che non deve toccare alcol, ma è l'unica via rimastagli per riuscire a sopportarsi.

Beve, pensando che finalmente gli è stata svelata la vita cosi privata di sua moglie. Judith lo tradisce, forse lo ha sempre tradito, sin dal giorno del matrimonio. Per come sono andate le cose, avrebbe anche potuto dubitarlo, evitando così di essere preso in trappola e ridicolizzato-. Sente di essere soltanto un grosso idiota, un enorme idiota che pensava di avere in mano il mondo; un enorme idiota che ha creduto ciò che ha sempre voluto credere.

Lucido e controllato, con un bicchiere stretto in una mano va verso una delle finestre del vasto salotto. Da quella posizione osserva le luci gialle dei lampioni. Lunghe file che arrivano sino in fondo alla vallata invasa poi dall'oscurità. Si chiede se per ognuno al mondo può arrivare una notte come quella; una notte in cui si scopre che la propria vita non ha più senso e che non ha avuto nessun senso.
Cerca di ritornare su questi pensieri, ricordando i momenti gioiosi della sua gioventù, i primi traguardi all'università, lo sport. Tutti dicevano che era un buon atleta. E pensa poi alla laurea, al successo nel lavoro, ai soldi, ed infine a Judith, che doveva coronare la sua felice carriera di giovane uomo proiettato verso altri, nuovi importanti successi.

E adesso, a distanza di poco più di una decina di anni, il verdetto della sua vita, il saldo. E' in preda ad una malattia molto grave, sua moglie lo ha sempre tradito vigliaccamente.

Forse per la malattia c'è ancora speranza, pensa. E la ripete più volte a voce alta la parola speranza. Ma non è per quella malattia per cui c'è ancora "speranza", che potrebbe morire. E' per la realtà che sta vivendo; una realtà dove un insignificante e squallido personaggio come James Davis si è preso gioco di lui prendendogli la moglie, il suo bene più prezioso. E magari, alla sua probabile morte, quel soggetto miserabile potrà poi godere ancor più liberamente di lei e così della sua casa, di tutti i beni che lui ha costruito. E' quel James e sua moglie che l'hanno ammazzato, non la malattia.

Pensa che all'indomani parlerà con Mr.Hamilton. Al più presto si dovrà attuare un'adozione, e a questo punto Judith dovrà accettare tutte le condizioni. In caso contrario la caccerà di casa, liquidandola con del denaro che lei dovrà sputare sangue per avere.

Unico problema che dovrà affrontare sarà quello del tempo; del tempo che gli lascerà la malattia per riuscire a portare a termine il suo progetto. Se morirà presto tutti i beni potranno andare alla moglie. Tutto questo dovrà essere evitato; Mr. Hamilton dovrà aiutarlo a lapidare Judith, così come ha fatto lei con lui questa sera di Capodanno in casa di stupidi, fasulli amici.

Gli ritornano le poche frasi ipocrite della moglie durante il viaggio di ritorno in auto. Ti ripeto, spero che tu sia così intelligente da dimenticare subito quel1'orribile scenata da parte di quella sordida ubriaca. Voglio inoltre che tu comprenda quanto mi sento in colpa per averti portata in mezzo a gente del genere. Tu meriti di più, molto di più. Ti prego dimmi qualcosa. Che ne diresti di fare un viaggio insieme, ci farebbe bene, credimi.

Ipocrita, puttana; puttana da quattro soldi, continua a ripetersi Mark, se non accetterai le mie condizioni, vedrai che tipo di viaggio ti aspetterà.

Come nel lavoro, ora è certo di poter usare lo stesso potere di cui dispone anche contro sua moglie; ipotesi che non avrebbe mai immaginato. Ma anche se é così sicuro di se stesso, gli si ripresenta lo spettro della morte. Preso da brividi di freddo immagina già il suo rivale aggirarsi da padrone nella sua villa. E constatando tristemente questa atroce, probabile verità, ripensa ancora una volta alla parola "speranza" come una parola equivoca, priva di senso. Se il mio destino è già stato scolpito, la mia partita è persa, e non ho alcuna possibilità di rivincita, la speranza non c'entra nulla; la speranza è un inganno, un'illusione per allocchi.

E per alcuni istanti è assalito dall'impulso di uscire, di andare incontro a un gruppo di ragazzi che ancora stanno festeggiando il Capodanno; andargli incontro per dirgli che non c'è speranza per nulla, e che anche per ognuno di loro, per i più svariati, differenti motivi, prima o poi verrà una notte come quella che lui sta vivendo; una notte in cui improvvisamente, con lucidità, si comprende di non avere più alcun scampo di fronte al fallimento della propria vita. E’ inutile, continua a pensare, forse chiunque, sapendo di essere alla fine, se riflettesse con estrema sincerità e onestà sulla propria vita, si renderebbe conto di aver vissuto inutilmente.

Ansioso, furioso, cerca di controllarsi, di calmarsi, ma ecco aggredirlo un forte attacco di tosse; e a passi incerti, con una tosse che lo sconvolge, si porta ancora davanti alla finestra, ma continua a tossire forte, troppo forte, finché non sente il sapore del sangue nel palato, fra i denti. Tamponandosi la bocca, dopo altre crisi, finalmente la tosse si placa. Gli sembra di uscire da un incubo.

Riprese un poco le forze si volta verso le finestre. E' iniziato a nevicare. Si accorge di non aver mai provato tanta tristezza come in quel momento. Guarda la neve cadere e pensa al cimitero; alla neve che vi sta cadendo, al gelo che ne ha invaso ogni angolo, come la cappella della sua famiglia, grigia e tetra, dove con ogni probabilità entrerà presto, con il suo cadavere chiuso in una bara lucida ben sigillata.

E proprio in questo momento comprende, che se anche riuscirà a vivere ancora per un certo tempo, in ogni caso, quella notte, sarà stata l'ultima notte della sua vita.


Copyright © G. Magnani

Sunday 4 August 2013

Notturni Londinesi - La Colpa



Quattordici anni, dice Christine volgendosi verso, sua madre Annie, già quattordici anni.
Hai  ragione... quando  aspettavi  Kate,   le  tue  paure.
Continuavi a domandarti,  ma sono in grado di avere un bambino? è normale, ti sentivi ancora una ragazza e non una donna che in pochi anni avrebbe partorito due figlie. Ora hai tutte le ragioni per essere felice, le ragazze crescono bene, e per la sua età Kate la puoi già considerare una persona  adulta...una  gran  bella  ragazza,  intelligente, matura.
Ti supplico nonna, non parlare così, mi metti in imbarazzo.
Oh, dico solo la verità.
Ancora quattro anni, riprende Fiona, quattro anni ancora e sarò grande come te.
Non avere troppa fretta di diventare grande. Guardami, ho ormai sessantasei anni, e non riesco a capacitarmene. Dirò una banalità, ma il tempo mi è fuggito via. Pensa che sono sette anni che è scomparso il nonno; sì, sono una vecchia che non vuole accettare la realtà di essere vecchia, è questo il guaio.
Andiamo, mamma, lasciamo perdere le malinconie. Questa è una festa e dobbiamo solo essere allegri.
Certo, è sacrosanto, sono solo una brontolona guastafeste, dovevate lasciarmi a casa!
Tutti sorridono, e la cena prosegue fra battute e  risate.
Eppure,  vi  sono attimi  in cui  Kate appare pensierosa, distratta.
Mamma quando arriva papà? chiede Fiona.
Edmund ha promesso di arrivare in tempo per la torta e di solito mantiene sempre le promesse. Lo sappiamo tutti quanto lo assorba il suo lavoro; anzi, possiamo dire il nostro lavoro. Ciò che fa, lo fa per tutti noi, non è vero?
Tutti  annuiscono,  meno  Kate,  che  pare  proprio  essere altrove. Christine se ne accorge. Tutto bene  Kate?
Sì... sì. tutto bene.
Kate  cerca  di   mostrarsi   tranquilla,   ma  Christine impensierita le fa una  domanda per cercare di comprendere qualcosa.
A   proposito Kate,  mi avevi  detto che avresti portato Juliet per la tua festa.
Beh... oggi Juliet non stava bene, aveva la febbre, un po' di influenza forse, e così non è potuta venire.
Kate ha raccontato una bugia, Christine è sicura di non sbagliarsi; e con tutta l'astuzia possibile la tiene sotto controllo. In Kate c'è qualcosa che non va, è tutto così evidente. Forse si tratta di un bisticcio con qualche amica, probabilmente proprio con Juliet, o chissà, un brutto voto preso  a  scuola  che  non  ha  trovato  il  coraggio  di confessarle. E' strano, pensa Christine, di solito Kate non mi nasconde nulla, fa parte del suo carattere; è una ragazza aperta. E ritornando con la memoria alle feste di compleanno degli anni scorsi,  Christine realizza di avere di fronte a sé una figlia assai diversa (Christine mentre continua a cercare di  interpretare il turbamento di Kate ordina la tavola  per  far  posto all'arrosto;  si  muove  leggera e sorridente).  Sa bene che all'età di  Kate si cresce in fretta, ma è nei suoi occhi che legge come un senso di smarrimento. Che ci sia di mezzo l'amore? qualche cotta? quelle non si raccontano; sì, pensa, mi sto preoccupando per nulla.
I suoi pensieri su Kate sono interrotti dalla voce di Annie, che dalla cucina  invoca  aiuto  per  tagliare  l'arrosto. Christine si alza da tavola e nello stesso istante si sente aprire la porta d'entrata. Edmund ha mantenuto la promessa, anzi  ha  fatto di  più,  è arrivato  in tempo anche per l'arrosto. Tutti gli vanno incontro per baciarlo.
Sei stato favoloso ad arrivare in tempo per festeggiarmi, ci tenevo tanto sai?
Non  avrei  mai  potuto mancare al  compleanno della mia splendida Kate.
L'arrosto viene divorato in pochi minuti, seguito da un coro di complimenti indirizzati a   Christine, che soddisfatta riprende, gentili signori e signore non è finita qui! il bello  arriva  adesso con  la  torta di  Kate,  e  le  sue quattordici bellissime candeline.
Annie finisce di togliere i piatti dell'arrosto, e Christine è già di ritorno dalla cucina con la torta. Edmund abbassa le luci, e Kate in un unico soffio spegne le candeline  tra applausi, auguri e baci; poi le vengono consegnati i regali che apre tra mille esclamazioni.
Finita la torta e visti i regali, ognuno si alza o per andare nel bagno o per sedersi sul divano. Solo Kate rimane a tavola, assorta ancora una volta nei suoi pensieri. In questo momento non è più lei il polo d'interesse della serata, ma la televisione accesa da Fiona per seguire un gioco a quiz;  un gioco che coinvolge tutti quanti per cercare di indovinare le risposte.
Ma Kate è sempre più distante. Senza parlare, si alza da tavola, si muove per la casa, ritorna a sedersi.
Stanca, anche perché ha lavorato molto in cucina per aiutare Christine, Annie chiede ad Edmund di accompagnarla a casa; vive sola ed è venuta in taxi.
Indossando la giacca Edmund tiene gli occhi fissi sulla televisione. Annie è pronta per uscire.
Allora, mia cara, magnifica Kate ti faccio ancora tanti e tanti  auguri,  e mi  raccomando vieni  a  trovare  la  tua decrepita nonna qualche volta; eh sì, è proprio vero, è da un po' di tempo che non ti vedo.
Grazie per gli auguri...e... tornerò presto a trovarti...
Kate   ha appena trovato la forza di dire queste poche parole. Annie rimane perplessa,  ma non ha il  tempo di riflettere  perché  distratta  da  Fiona  e  Christine  che l'abbracciano per salutarla.
Uscendo Edmund dice a Fiona che è ora di  spegnere  la televisione e di andare a dormire. Lei non si muove dal divano.
Edmund ed Annie se ne sono andati, e la casa ritorna alla normale oziosità di tutti i giorni; la televisione accesa, il  rumore della lavastoviglie,  la madre indaffarata nei lavori domestici,  le ragazze che passano da una stanza all'altra.
Kate entra in cucina e si trova accanto sua madre.
Va tutto bene amore?
Sì...tutto bene...
Durante questa serata di festa, la tua festa, non mi sei sembrata serena come in passato. Ci sono stati momenti in cui mi sei parsa inquieta. E' una mia sensazione sbagliata?
oppure...
... va meglio.
Cosa significa, va meglio.
Niente, ho detto che va meglio.
Spiegati. Se hai qualcosa che ti fa star male, forse e' meglio che metti al corrente anche me, lo sai bene, faro' di tutto per...
Christine ormai parla da sola. Kate e' scappata in camera sua  sbattendo la porta.
Disorientata,  confusa,  Christine appoggia sul tavolo di cucina un vassoio che tiene fra le mani,  e con una sensazione  di paura che le fa tremare le gambe va verso la stanza di Kate.
Indugia qualche secondo prima di aprire la porta.
Nella penombra della stanza, intravede la figlia coricata bocconi  sul  letto  che  piange  sommessamente.  A  brevi intervalli  il  pianto è  interrotto da singhiozzi,  tanto intensi da bloccarle quasi il respiro.
Christine non riesce a dire nulla. Si siede accanto a Kate cercando di  abbracciarla;  e  lei  si  abbandona  al  suo abbraccio liberando un pianto disperato, che nonostante il volume alto della televisione, arriva anche a Fiona, che si precipita davanti alla camera della sorella.
Con un gesto nervoso della mano Christine le fa. cenno di andarsene. Senza capire e con una leggera alzata di spalle Fiona ritorna in salotto.
Accarezzando dolcemente Kate, Christine si pone una, cento domande. Si ingannava nel1'immaginare una cosa da nulla. Non ha mai visto Kate disperarsi in questo modo. Ci deve essere qualcosa di grave.
E con un'angoscia che le mozza il fiato prende l'iniziativa chiedendo a Kate  la verità.
Asciugandosi le lacrime, senza un parola Kate si stacca dalla madre con gesti meccanici, lenti, e dopo aver chiuso la porta, muovendosi nervosamente nel piccolo spazio della stanza, con un tono di voce affannoso comincia a parlare. Non è vero quanto ti ho detto riguardo a Juliet; non è per l'influenza che non era con noi questa sera, sono stata io a non volerla, e d'ora in poi non la vorrò più vedere. Tutto è accaduto quando lei mi ha accompagnata in una delle mie visite alla nonna Annie. Da un po' di tempo ad una delle finestre del palazzo vedevo sempre una ragazza. Era sempre là, allo stesso posto; sia quando salivo sia quando me ne andavo. Ogni volta la guardavo, ma non mi ero mai chiesta cosa potesse fare sempre in casa, appiccicata ad una finestra, una ragazza pressappoco della mia età. Nell'uscire dal palazzo, anche quel giorno ho visto quella ragazza sconosciuta dietro alla finestra, e senza pensarci ne ho parlato con Juliet; ma ne ho parlato ridendo, capisci, come per dire, quella stupida non ha altro di meglio da fare che starsene tutto il giorno chiusa in casa a guardar fuori. Dal cortile Juliet ha immediatamente iniziato a prendersi gioco di lei, a farle delle boccacce, a dirle, che stai a fare in casa? guardi il soffitto? vieni giù sciocca! svegliati!; coinvolta e trascinata dalla sua stupidità, mi sono messa a ridere anch'io; a ridere sfacciatamente verso di lei che d'un tratto è scomparsa, mentre Juliet continuava a canzonarla. Di colpo, non so come spiegarti, ho avvertito che stavo facendo una cosa orribile. Allora ho preso per un braccio Juliet urlandole di smetterla, ma niente da fare, lei continuava a ridere, dicendo che non c'era motivo di smetterla. Poi finalmente mi ha ascoltato e siamo venute via. Tornata là due giorni dopo, e non vedendo più quella ragazza dietro alla finestra, sono salita in fretta dalla nonna per avere notizie, per sapere il suo nome. La nonna mi ha detto che quella ragazza di nome Doris, era ammalata gravemente, e al momento vi erano assai poche possibilità che potesse guarire. Era molto debole sia per le malattia, sia per le medicine molto forti con le quali doveva curarsi. Per questi motivi stava sempre in casa.
Mi  sono controllata e  senza dirle  nulla di  quanto era accaduto con Juliet,  le ho chiesto se potevo andare da Doris.  Anche  solo per  pochi  minuti.  Dovevo conoscerla, dovevo chiederle scusa per quella bravata dal cortile.
La nonna dicendomi che avrebbe provato a sentire, mi ha poi chiesto, perché ti interessi tanto a Doris?
Ora che conosco la sua storia, ho pensato che forse una visita le può far bene, la può aiutare.
Sono molto orgogliosa di avere una nipote come te. E' molto bello quello che vuoi fare... strano però, è da diverso tempo che se ne sta dietro alla finestra, non l'avevi mai vista prima?
Non so, può darsi, non ci ho mai fatto caso. Sai,  vengo e me ne vado sempre così di fretta.
Certo... fra l'altro nemmeno io te ne ho mai parlato, o meglio l'ho sempre evitato. E' una cosa così penosa.
Ma sei veramente sicura di volerle parlare? sappi che vedrai una ragazza ammalata, ti rattristerai.
Non ho paura di nulla, desidero stare un po' con lei.
Come vuoi, vieni domani. Questa sera chiederò a sua madre se potrai incontrarla.
Il giorno seguente, la nonna, frastornata, mi ha detto che Doris era stata portata d'urgenza in ospedale. Ma questo accade spesso, aveva aggiunto, lasciandomi ad intendere che avrebbe potuto tornare a casa presto.
Per un paio di settimane ho continuato a chiamare per avere notizie, finché un giorno la nonna mi ha detto che Doris era morta. Da quella sera sono caduta in uno sconforto che non mi lascia vivere. Penso sempre a lei; penso che Doris sia peggiorata in conseguenza della mia crudele bravata con Juliet. E' una colpa che mi sento addosso. E inoltre, penso a quanto sono stata falsa con la nonna, con lei che mi ha creduto una ragazza sensibile, lo non  sapevo che quella ragazza era ammalata, non sapevo niente di lei; non sapevo perché mi era indifferente. Avevo avuto diverse occasioni per chiedere qualcosa su di lei, ma non me ne importava nulla. Io dovevo pensare alla mia vita, alle mie amiche e a tante altre sciocchezze. Doris andava bene soltanto per divertire due stupide ignoranti come me e Juliet. No, non riesco a darmi pace per quanto é successo. Ho sempre nella memoria i suoi occhi che mi guardano da quella finestra. Ho mentito dicendo alla nonna che tornerò a trovarla. In quella casa non metterò più piede, mai più...
Un forte singhiozzo tronca le ultime parole di Kate che cade in un nuovo pianto disperato.
Christine è muta, sbigottita. La storia di Kate,   la nuova crisi di pianto le hanno paralizzato il cervello e il corpo.
Vorrebbe dirle di non angosciarsi fino a quel punto, che lei non può essere responsabile della morte di quella ragazza. Doris era molto ammalata e  non si poteva fare nulla per salvarla.  Rimuginando su quella bravata si  sta soltanto accusando di una colpa che non ha. E' invece la morte ad averla  atterrita. Kate non arriva a capire, ad accettare, che anche una ragazza della sua età possa morire. E' tutto quello il problema. Per Kate, per le sue amiche, la morte è altrove; qualcosa di sconosciuto; qualcosa che appartiene ad altri, una realtà distante e oscura.
Ma le parole non escono, e con un gesto delicato riesce soltanto ad accarezzare i capelli di Kate, che sfiancata dal dolore, si addormenta.
Christine la osserva con dolcezza, e senza fare il minimo rumore si avvicina alla finestra. Guarda fuori, la strada deserta, la luce dei lampioni, le auto posteggiate.
Nella notte,  tutto le appare inoffensivo;  un mondo che dorme,  assopito  come  sua  figlia;  un  mondo  che  vive costantemente in bilico tra fervore e quiete, tra vita e morte.
Anche lei come Kate, non accetta la morte, ne ha il terrore; ne ha il terrore perché oltre la vita immagina solo il buio, il silenzio.
Da bambina in seguito a una brutta caduta in bicicletta, era rimasta  svenuta  per  diversi  minuti.  Appena  ripresa conoscenza, era però riuscita a ricordare gli attimi poco prima della caduta; un pomeriggio pieno di sole e di luce, altri bambini che giocavano con lei; poi  lo schianto in terra e immediatamente il buio, la notte in pieno giorno, il nulla.
Si accorge che sta piangendo, e intanto, dai piccoli rumori che le giungono dalla stanza accanto, capisce che Fiona sta andando a dormire; nello stesso istante in cui arriva Edmund; nell'entrata suoni metallici di chiavi, passi pesanti di un uomo, la porta che viene aperta e chiusa in fretta.
Con gesti rapidi e nervosi Christine si asciuga le lacrime e si ravvia i capelli, cercando di darsi un tono rilassato; un aspetto normale e tranquillo.
No, non racconterà a nessuno la storia di Doris. E nonostante la sua sensibilità, con il tempo anche Kate riuscirà ad abituarsi a convivere con cattivi ricordi. E a passi leggeri, disinvolta e sorridente, esce dalla camera della figlia e  va incontro al marito.

Copyright © G. Magnani

Thursday 1 August 2013

Notturni Londinesi - Il Desiderio


Nicolette non si vedeva quasi mai, tipi nome lei studiano e vivono a Londra, in grandi metropoli; se ne vanno presto dalla nostra piccola e stupida città di provincia, e ci tornano soltanto per periodi brevi, per Natale o d'estate.
Nelle piccola e stupide città di provincia rimangono i più grandi della famiglia, i più scaltri, quelli che si dedicano agli affari dell'azienda o delle aziende, continuando a fare quattrini, a mietere e curare interessi e conoscenze, mentre governanti e servitori tengono a puntino ville e proprietà.
Con l'infinità di pretendenti che da sempre le giravano attorno, a quell'idiota di Pierre non ho pensato proprio; però avrei dovuto pensare alla sua famiglia e ai suoi soldi.
Poco c'entra se lui é un idiota, anzi, probabilmente é una caratteristica indispensabile, e pensare che sono stato io a mettergli in testa Nicolette.
Tutto è scattato da un sogno; un sogno splendido che come un delirante volevo diventasse realtà.
Da troppo tempo desideravo una come Nicolette; una come lei significa bellezza, denaro, enormi opportunità per il futuro.
Nicolette mi conosce, mi ha visto con gli altri, sa che esisto, eppure mi ha sempre ignorato; certo, lei abitualmente frequenta amici importanti, inglesi, americani; gente carica di soldi con case al mare e in montagna.
lo non ho nulla di tutto questo e lei ha sempre saputo che nella compagnia di ragazzi di cui facevo parte ero l'unico ad essere povero; forse non proprio povero, povero. Voglio dire che sino ad un certo punto il divario tra me e gli altri non era ancora diventato così grande. Eravamo ragazzi, avevamo la motocicletta, e fino a quel punto mio padre é stato in grado di aiutarmi. Ma crescendo abbiamo preso 1a patente per l'auto, e mio padre con a carico il sottoscritto, mia sorella più piccola e mia madre, non avrebbe nemmeno potuto pensarci ad una vettura di lusso come hanno i miei amici.
E l'auto è solo uno dei tanti problemi. Ci sono i vestiti e così altre, tante, troppe cose; differenze che giorno per giorno mi hanno tagliato fuori.

Per questi motivi negli ultimi tempi sono andato sempre con meno entusiasmo ai nostri soliti incontri. i miei amici arrivavano con macchine fuoriserie, io con la vecchia automobile di mio padre. E alcuni ne approfittavano pure per prendermi in giro.
Ed è inutile che mi faccia illusioni, qualsiasi lavoro farò, non riuscirò mai ad avere le possibilità di Pierre, Jean e gli altri. Meglio quindi metterci una pietra sopra e cercare di riuscire a vivere diversamente.
Per prima cosa devo trovarmi amici nuovi, anche se devo ammettere che per un lungo periodo sono stato bene insieme a loro. Speravo comunque che non finisse così, ma quel sogno mi si era inchiodato nella mente.
Ero nella mansarda di Nicolette, una delle sue numerose stanze private; spesso avevo sentito parlare del lusso della sua mansarda. Tutto era arredato sontuosamente, vasi orientali, quadri d'autore, tappeti antichi. E Nicolette era lì, nuda nel letto accanto a me, immersa in coperte di seta. Lei mi guardava, ed io con le palme delle mani stringevo delicatamente il suo seno perfetto. Ad un certo punto mi ha detto, è da tanto tempo che ti voglio Marcel, sei l'uomo che ho sempre desiderato. Prendimi, ti prego.
Le ho baciato il collo profumato, i capezzoli rigidi, le ho accarezzato i capelli color oro e alla fine sono entrato dentro di lei, con dolcezza. Ma subito dopo ho iniziato ad amarla con tutto il vigore che possedevo, e lei mi chiamava ad alta voce, implorandomi di continuare, di non fermarmi. La sua voce suadente che mi pregava, rimbalzava sui muri affrescati, sugli oggetti di ingente valore; la sua voce che mi adorava. Il suo corpo era mio; il corpo di una donna tanto desiderata dagli altri, da tutti i miei amici, da chiunque.
Entrambi esausti ci siamo poi coricati l'uno accanto all'altro. Ma lei, non ancora soddisfatta, si è inginocchiata sul letto e con le mani ha iniziato a toccare il mio sesso, a parlargli. Sei terribile, mi hai divorata, consumata, ora però mi ribellerò ingoiandoti. Estasiato dalle sue labbra e dalla sua lingua, ho pensato a Mireille, alla mia ragazza; pensavo a lei ridendo forte di quella disgraziata. No, non l'avrei più rivista, ora c'era Nicolette nella mia vita.
E' stata poi la voce di mia madre a farmi aprire gli occhi. Mi ha svegliato spalancando le finestre con gesti materiali. Anche se è domenica -mi parlava chiudendo la porta per andarsene- potevi alzarti un po' prima. E' quasi mezzogiorno.

Ero sveglio; davanti a me poster di cantanti che da tempo dovevo togliere, il comodino con sopra alcune riviste spiegazzate, il mio vecchio armadio, la luce opaca e lattiginoso del cielo; e poi mia madre. la sua perenne espressione infelice, il suo inseparabile grembiule per le faccende domestiche. Le solite cose; come il solito odore che regna nella casa, un misto tra cibo e prodotti per l'igiene.
Ma il mio pensiero è tornato agli affreschi, alle coperte di seta, ai quadri di maestri antichi, ai vasi e ai tappeti rari; al sogno, a Nicolette soprattutto, alle sue mani, alla sua bocca, al suo corpo.
Dopo pranzo, fra gli sguardi seri di mia madre e l'apatia di mio padre, per cercare di non pensare più a Nicoletta mi sono messo a giocate a carte con mia sorella Sandrine, ma niente da fare, la mia mente tornava continuamente al sogno e alla mia situazione senza via d'uscita. Mi sentivo patetico, triste.
In quel momento e' squillato il telefono, era Mireille, dovevamo incontrarci nel pomeriggio.
Mireille viveva come me, con le stesse alienazioni, con le stesse paure per il futuro. Non era stato il destino a farci conoscere, ma il nostro quartiere, le nostre case superaffollate, la nostra vita precaria, il nostro avvenire già scritto.
Appena finita la scuola avrei iniziato a lavorare. La stessa cosa che aveva fatto Mireille. Non avevo scelta. Oltre a costare troppo per le tasche di mio padre, l'università era una realtà che non mi apparteneva. II sogno di Nicoletta ora finito in tutti i sensi, non mi restava che uscire con Mireille. Sarei andato a casa sua, scala b, interno 7.
I miei la domenica stanno fuori tutto il giorno. Possiamo fare ciò che vogliamo.
Anche quel pomeriggio al telefono la stessa frase. E come al solito avremmo fatto l'amore, ma questa volta avrei chiuso gli occhi sognando Nicolette. Appena riaperti però avrei rivisto le guance arrossate di Mireille, i suoi glutei pallidi o grassi, li suo sesso folto come una foresta, il suo seno da donna che deve allattare. Il suo bagno dalle orrende piastrelle color del mare, come diceva sempre lei con un pizzico di superbia.
No, non ce la facevo più. al diavolo lei e tutto il resto. Ho trovato una scusa. Non mi andava più Mireille, non mi andava più di giocare a carte con quella sciocca di mia sorella, non mi andava più nulla.

Il telefono e' squillato di nuovo. Era Jean che mi invitava a una festa a casa di Francoise, un'amica di Pierre. Ci sarebbe stata anche Nicolette. Saremmo andati in una casa meravigliosa, con oggetti meravigliosi, con cibo meraviglioso, con gente meravigliosa.
Parlavo con Jean e pensavo. Se vado peggioro la cose. Mi sentirò di nuovo tagliato fuori. Forse é meglio evitare. Magari appena mi vedono arrivare con la macchina di mio padre si divertono a prendermi in giro e farmi la festa. Mi sono convinto che forse stavo esagerando e ho accettato l'invito. Sono andato in bagno a mettermi in ordine e poi ho chiesto le chiavi della macchina a mio padre, il quale, senza togliere gli occhi dal giornale, mi ha detto che erano sul tavolino d'entrata.
Scendendo le scale ho pensato a Mireille al suo corpo; all'odore del suo corpo; a lei che spendeva la sua vita tra il lavoro in un anonimo ufficio di periferia e le scopate con me la domenica pomeriggio.
Sono entrato in macchina e ho messo in moto sorridendo. Fra poco avrei rivisto Nicolette.
All'appuntamento con Jean e gli altri, qualcuno ha fatte scherzi idioti, pero' nessuno mi ha rotto le scatole per la macchina di mio padre. Forse perché ne é mancato il tempo. Infatti essendo in ritardo siamo partiti in fretta per la festa di Francois. Pierre era con Marc, uno dei nostri, Jean era in macchina con me.
Non facendo altro che dire idiozie, siamo usciti dal la strada provinciale per entrare in una strada privata poco distante, che ci ha portati di fronte ad un imponente cancello automatico. Dopo aver lo varcato, siamo arrivati alla villa attraversando un parco molto grande con alberi altissimi.
Scesi dalla macchina, Pierre e Marc hanno fatto i cretini prendendosi a calci nel sedere. Stavano cominciando anche con me e Jean, ma hanno smesso immediatamente quando si sono accorti che da una vetrata della casa qualcuno li stava osservando.
Appena dentro Jean si e' messo a bere, e dopo pochi minuti era già impossibile dialogare con lui. Come aprivo bocca ai metteva a ridere.

Perso Jean mi sentivo come uno che si era smarrito. Tutti erano in qualche modo accoppiati, e Pierre e Marc si trovavano in mezzo a un mucchio di gente. Mi riusciva soltanto di scambiare saltuariamente due parole con qualcuno che mi passavo accanto. Così, facendomi largo tra gruppi di persone, sono sceso nella tavernetta da dove veniva la musica e mi sono messo a bere anch'io. Sentivo la musica ad alto volume, e guardando gli altri ballare bevevo tutto quello che mi capitava.
D'un tratto ho visto Nicoletta- Era bellissima. Ballava stretta con un ragazzo che non conoscevo.
Mi sono seduto in disparte, in un angolo un po' buio, e con lo sguardo fisso su di lei ho ripensato al sogno. L'alcol mi stava facendo un effetto coi fiocchi e ho immaginato Nicoletta come una ragazza che potevo prendere o lasciare a mio piacimento,
Ma ecco che di colpo la musica é cessata, e nello stesso istante, accompagnata da saluti cerimoniosi, ha sceso le scale una signora molto elegante, la padrona di casa, la madre di Francoise, una donna che oltre a continuare imperterrita nella chirurgia estetica, avrebbe anche implorato miracoli pur di dimostrare di essere ancora giovane. Biondissima e curatissima in ogni dettaglio, sorrideva a tutti spalancando una bocca enorme con denti bianchissimi e labbra rossissime. Da come era in ghingheri aveva fatto almeno tre ore di toilette. La musica si era fermata per lei. Era scesa per salutare tutti i ragazzi presenti alla festa di compleanno della figlia; nessuno mi aveva detto che era una festa di compleanno. Ho pensato a quel disgraziato di Jean, che appena entrati aveva tirato fuori un piccolo pacchetto da una tasca, senz'altro un regalo. Avrebbe potuto dirmi che quella Francoise compiva gli anni, forse avrei portato qualcosa anch'io. Ma eravamo in tanti, non ero notato per niente, e inoltre, a parte una breve stretta di mano all'arrivo, passandomi di fronte poco più tardi quella Francoise non mi aveva nemmeno guardato in faccia.
Grazie all'alcol che mi dava sempre più sicurezza, ho deciso che dovevo infischiarmi di lei, di quel catafalco di sua madre, del suo compleanno e di tutti quegli stronzi che aveva invitato.
Finalmente la musica è ripresa e mentre la luccicante signora bionda se ne andava fra cori di ammirazione, ho ripensato alla figura di mia madre con il suo inseparabile grembiule.
Sentendomi triste, mi sono lasciato andare su un divano. Nel frattempo è spuntato Pierre che si è seduto di fianco a me.

Entrambi stravaccati su quel divano con un bicchiere di whisky tra le mani, osservavamo Nicolette ballare animatamente.
L'alcol ora riprendeva a farmi sentire forte, veramente forte. Ed è stato a questo punto che ho iniziato a raccontare a Pierre la mia storia segreta d'amore con Nicolette, riportando alla realtà il sogno della notte prima.
Rosso in viso, con le labbra sporgenti e i denti stretti, Pierre mi ascoltava incredulo. Ero circa alla metà del racconto quando mi ha chiesto di andare con lui nel parco a prendere un po' d'aria. Nell'uscire siamo passati vicini a Nicolette, e ho notato che Pierre l'ha guardata con un desiderio animalesco.
Con il fresco della sera era arrivato anche il buio, e mentre l'aria frizzante e l'oscurità del parco alleggerivano il peso della mia ubriachezza, passeggiando nel parco ho finito di svelare a Pierre il mio straordinario rapporto con Nicolette.
Lasciando Pierre ancora fuori di testa per la mia storia su Nicolette, sono venuto via dimenticando di salutare tutti, festeggiata compresa. Ero talmente ubriaco che avevo dimenticato anche Jean.

A casa sono rimasto seduto sul letto, poi mi sono messo a camminare per la stanza aspettando di passare il culmine della sbornia. Mi sentivo inebetito, anche se capivo che il cervello riprendeva lentamente lucidità.
Barcollando sono andato in cucina, e nel silenzio della notte ho trangugiato nervosamente il latte pensando alla festa, a Pierre, e a tutte le calunnie che avevo detto su Nicolette.
Se sotto l'effetto dell'alcol quella storia mi aveva fatto sentire pieno d'orgoglio, adesso provavo per me una gran pena.
Perché non sono andato da Mireille? continuavo a chiedermi, perché? dovevo evitare quella patetica sceneggiata su Nicolette.
Un senso di disgusto della vita mi prendeva l'anima. Avvertivo già quello che doveva capitarmi solo poche settimane più tardi. Le parole di Pierre.
Pensavi di farla franca? Non si inventano storie del genere sputtanando una come Nicolette.
Solo qualche settimana più tardi. Una telefonata la domenica appena dopo pranzo, come quel pomeriggio della festa di Francoise.
Sono Pierre, ti aspetto oggi a casa mia, si gioca a carte. Ci siamo tutti, non puoi mancare.
Figlio di puttana. Era un tranello per rovinarmi di botte. E per fortuna c'erano solo Jean e Marc. Se fossi solo arrivato qualche minuto più tardi, oltre alle botte, mi avrebbe anche umiliato di fronte a tutti.
Pierre era seduto su un tavolo con accanto una bottiglia di Gin, gli altri due stavano su un divano di fianco a lui.
Mi ha detto, forza! racconta ancora una volta la storia di Nicolette; quella che mi hai snocciolato da Francoise. Avanti! voglio che sentano anche gli altri che razza di balordo sei. D'accordo, un cretino come te non poteva certo immaginare che Nicolette diventasse la mia ragazza, anzi, la mia fidanzata. Non ne sapevi nulla vero? appena le ho detto quanto mi hai riportato su di lei, voleva venire a casa tua con suo padre per parlare con i tuoi genitori. Ma l'ho fermata, le ho detto che sarebbe stato tempo perso. Considerato l'enorme acume del figlio, c'è da supporre che la pressoché nullità di intelligenza sia di comune pertinenza a tutta la stessa famiglia. Ehi, brutto pezzente che non sei altro, ti rendi conto di cosa hai fatto? te ne vai tranquillamente in giro a raccontare che hai fatto un'orgia con Nicolette, mentre non vi siete mai nemmeno rivolti la parola. Sei veramente un ignobile gran pezzo di merda.
Pierre mi bastonava con le parole e gli altri due porci ridevano sguaiatamente.
Toccato il limite della sopportazione, ho detto, non ricordo assolutamente di averti parlato di Nicolette ero completamente ubriaco. Non è leale giudicare le parole di uno che ha bevuto troppo.
Leale? fai pure il furbo. Proprio tu tiri in ballo la lealtà. Che ne sai tu di lealtà? ricordati che la storia l'hai raccontata a me, non a un altro. Forse avevi bevuto un po', ma parlavi come una persona normale. Connettevi perfettamente. Infatti hai guidato sino a casa senza ammazzare nessuno. Oltre che un pezzo di merda sei anche una testa di cazzo di un bugiardo.
Ora basta sul serio. Lasciami in pace. Sono uno da lasciare in pace.
No caro, non ti lascio in pace. Quelli da lasciare in pace sono ben diversi, tu sei soltanto un misero omuncolo di merda. E sentimi bene. Ho assicurato a Nicolette che non c'è bisogno di scomodare suo padre per uno del tuo calibro...
Con uno scatto ho aggredito Pierre prendendolo al collo, ma quasi nello stesso istante Marc mi ha tirato un calcio in fondo alla schiena. Dal dolore ha lasciato la presa di Pierre, abbandonandomi leggermente sul tavolo, e lui, appena libero, mi ha tirato un pugno in piena faccia, prendendomi però solo di striscio.
Fra pugni e calci è intervenuto Jean che mettendosi in mezzo ha gridato a tutti di piantarla. Ha cercato di dividerci urlando ripetutamente la stessa frase. Razza di bastardi, siete impazziti? finitela!
Sono fuggito. Scendevo le scale e dall'alto del pianerottolo Pierre gridava insulti verso di me.
Con il cuore impazzito, verso la macchina ho incontrato Bernard e Armand, altri della compagnia. Che ti succede? mi ha chiesto Bernard, non resti a giocare a carte? vai già via?
Ho messo in moto in tutta fretta senza rispondere.

Quella stessa notte sono rimasto a lungo nella mia stanza a pensare; a continuare a pensare finché la testa ha iniziato a farmi molto male; un male dentro al cervello che pulsava come una ferita aperta.
Era molto tardi ma dovevo uscire, non ce la facevo più.
Mi sono vestito al buio mettendomi addosso le prime cose che ho trovato, e dopo aver aperto piano la porta sono scivolato giù per le scale.
Camminando provavo un dolore tagliente all schiena: quel figlio di un cane di Marc.
La faccia in confronto alla schiena non era nulla. La sentivo solo un poco gonfia da una parte. Ero stato fortunato, con quel pugno Pierre avrebbe potuto spaccarmi la bocca.
Ho continuato a camminarci, a camminare, maledicendo Pierre, Nicoletta, Marc, Jean, si', anche lui, tutti quanti. Se un episodio come quello di Nicolette fosse accaduto un anno prima ci saremmo messi tutti a ridere. Ora no; ora dovevo pagare un prezzo alto solo perché era ormai diventata troppo evidente la mia diversa estrazione: in poche parole era troppo diverso da loro. Gia da tempo mi ero accorto che
oltre i vari mutamenti materiali, allo stesso tempo era cresciuta in loro una totale trasformazione psicologica nei miei confronti, che il aveva portati a considerarmi a tutti gli effetti un essere inferiore.
Non avendo lo loro possibilità, li faceva sentire in diritto di usarmi violenza nella parole e nei fatti, trattandomi come un pagliaccio.
Nicoletta era stata solo un pretesto quanto mai opportuno per togliermi di mezzo una volta per tutte. Se non si fosse creata quella occasione, presto Pierre no avrebbe inventata un'altra.
E a forza di continuare a pensare, camminando sul marciapiedi deserti rischiarati dalla luce gialla del lampioni, sono arrivato al condominio dove vive Mireille. Mi sono seduto su un muretto e dopo aver acceso una sigaretta. fumavo guardando te finestre del suo appartamento.
Forse non si e' ancora addormentata, ho pensato: forse può vedermi. No, impossibile, e tutto buio da quella parte, E se suonassi? troppo tardi, farei una grossa cazzata, suo padre chissà cosa mi direbbe.
La sigaretta ormai era finita, e aspirando con forza l'ultimo tabacco, ho pensato a Mireille, ai suoi glutei, al suo sesso e al suo seno pesante, al suo bagno con le piastrelle color del mare, al mio mondo.

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Wednesday 17 July 2013

Notturni Londinesi - 183 West Wycombe Road



Da diversi mesi vivevo lontano da casa mia, dalla mia città, Genova. Sull'ultima nave su cui mi ero imbarcato avevamo seguito la rotta dell'America del Sud, ed essendo scesi a terra abbastanza spesso, avevo visto diverse città. Mi ero fatto crescere abbondantemente i capelli, e con quella chioma gli amici dell'equipaggio avevano detto che anch'io sembravo un sudamericano.
Sbarcati ora a Dunkerque, sarei di nuovo tornato a bordo tra un mesetto circa, destinazione ancora una volta l'America del Sud, il Venezuela in particolare.
Dopo aver trovato alloggio in una piccola pensione, telefonai subito a mio fratello Gaetano e parlai anche con mia madre e mio padre. Da giovane pure lui si era imbarcato. Quando dissi loro che non sapevo ancora fra quanti mesi sarei ritornato, ci fu un lungo silenzio interrotto dalla voce di Gaetano, che mi consigliò di attraversare la Manica e di andare ad High Wycombe, una cittadina nel sud dell'Inghilterra. Al 183 di West Wycombe Road avrei trovato una famiglia di origine genovese di nome Gallieri, che con grande piacere mi avrebbe ospitato per quelle settimane che mi separavano dal nuovo imbarco.
La sera stessa feci la valigia e l'indomani di buonora andai al porto per salire sul traghetto per Dover; una volta arrivato sull'altra sponda, avrei preso il treno per High Wycombe, di cui sapevo ben poco, se non che era un centro abbastanza grande vicino a Londra.
Gaetano aveva ragione, i Gallieri furono molto felici di ospitare un compaesano. Da ben venticinque anni vivevano all'estero, e a differenza dei figli Margaret e Roger, che
non avrebbero mai abbandonato l'Inghilterra, loro mi dissero convinti che presto sarebbero ritornati in Italia. I primi giorni passarono velocemente, poi iniziai ad annoiarmi. In particolare al pomeriggio, quando tutti i Gallieri erano al lavoro. In quelle ore l'unica alternativa era quella di rimanere a guardare la televisione.

Pensai così di occuparmi con qualcosa, e seguendo il consiglio di Margaret, trovai lavoro in un distributore di benzina vicino al 183 di West Wycombe Road. Andavo là soltanto al pomeriggio, la paga non era un granché, ma passavo il tempo, e finito l'orario di lavoro iniziai ad  uscire spesso con Roger o con alcuni amici di Margaret. E fu insieme a loro che una sera in un pub conobbi Lisa, una ragazza nera della mia stessa età.

In quella casa al 183 di West Wycombe Road, vi era un gran viavai di persone. Conobbi più gente in pochi giorni di quanto mi era capitato negli ultimi due anni. A cena dai Gallieri potevi incontrare indiani, pakistani, inglesi, irlandesi e così via. In un clima di festa, ogni razza trovava spazio alla loro tavola. Non mi era mai acceduto di frequentare gente tanto ospitale come loro. In quel periodo Mr. Gallieri era presidente dell'Associazione Italiani di High Wycombe e molti connazionali immigrati andavano anche da lui per chiedere favori, in questo ambiente così vivace e cosmopolita, viveva anche James, un ragazzo inglese che se ne era andato di casa perché non andava d'accordo con i genitori. Già da un anno abitava dai Gallieri. James lavorava sodo in un negozio, ma aveva un difetto, quello di bere troppo. Le nostre camere erano sullo stesso pianerottolo e ci incontravamo spesso quando andavamo a dormire. Non c'era weekend in cui James non fosse completamente ubriaco.

Ogni sera, finito li mio turno. Lisa veniva a prendermi al distributore di benzina. Insieme poi o si andava in uno di quei pub dove ci sono anche le stanze per dormire, oppure si decideva per un cinema, e una pizza sul tardi. Al pub, oltre a fare l'amore, passavamo anche delle notti semplicemente abbracciati nel letto a guardare la televisione.

Mancava ormai una settimana al mio nuovo imbarco e Lisa era molto triste; oltre che per la mia partenza, era molte triste per la scomparsa di suo padre. Una sera infatti non era venuta a prendermi al distributore, ed io camminando verso il 183 di West Wycombe Road, mi chiedevo il perché, varcata la soglia di casa, Mrs.Gallieri mi disse di richiamare subito Lisa. mi aveva telefonato pochi minuti prima. Quando seppi dalla sua voce quello che era accaduto, chiesi a Margaret di darmi un passaggio in macchina. Durante il tragitto Margaret mi disse che era dispiaciuta per quanto era successo.
Davanti a casa di Lisa c'era un folto gruppo di neri. Dopo aver salutato Margaret mi avvicinai. Subito tutti mi guardarono con una certa diffidenza, forse anche perché ero l'unico bianco in mezzo a loro, ma appena Lisa mi venne incontro prendendomi per mano, qualcuno mi sorrise. Entrato in casa, Lisa mi disse che suo padre era ammalato da tanto tempo, e proprio mentre mi raccontava scoppiò a piangere accanto alla bara, nascondendo il suo viso contro il mio petto. Allora la strinsi molto forte e mi accorsi che le persone attorno guardavano più noi del defunto.

Non andai al funerale del padre di Lisa, lei non volle. E così quel pomeriggio, dopo essermi licenziato dal distributore, tornai a fare la stessa cosa che avevo fatto nei miei primi giorni in Inghilterra, quella di stare davanti al televisore tutto il giorno. Ma purtroppo verso le cinque uscii a far due passi. Dico purtroppo, perché poco più tardi in quella casa vennero i ladri.
Quando rientrai, vidi Mr.Gallieri seduto su una sedia con la testa tra le mani. Non ci fu nemmeno bisogno di chiedergli cosa era successo, la casa era tutta sottosopra. Mi sedetti nel salotto e mi accorsi che avevano portato via anche la televisione. Dopo poco rientrarono anche Roger, Margaret e Mrs. Gallieri, insieme a tre poliziotti. Questi dissero che dovevano prendere le impronte digitali a tutti quanti per poter avere qualche chance di individuare quelle dei ladri. Quindi con i Gallieri andai anch'io al commissariato di High Wycombe. Mi trovai in un locale largo e basso costruito da poco, con all'interno pareti bianche e molte carte sui tavoli. In un attimo fu sbrigato tutto. I poliziotti furono molto gentili, ma nonostante questo l'espressione dei Gallieri non cambiava. Si leggeva nei loro volti un grande tristezza.


Oltre all'argenteria a a cose varie, quei balordi avevano preso anche i braccialetti d'oro e i preziosi di Mrs.Gallieri. Ed era lei forse la più avvilita di tutti. Mentre ce ne andavamo, il capo del distretto di polizia disse che le persone che avevano compiuto il furto sapevano bene quanto potevano trovare in quella casa. Fino al giorno della mia partenza lo stato d'animo dei Gallieri rimase molto abbattuto, anche se devo dire che con me furono sempre premurosi. Sarei partito quei pomeriggio e avrei passato la notte prima dell'imbarco all'alba per il Venezuela, nella stessa piccola pensione dove ad ogni ora c'era un gran movimento di coppie.
L'addio con i Gallieri avvenne senza parole di circostanza, anche perché loro pensavano in continuazione ai ladri che gli avevano svaligiato la casa, e il fatto che io me ne andassi veniva veramente in secondo piano. Diverso fu invece con Lisa. Per l'ultima volta, la notte prima, avevamo preso
in affitto la stanza al pub e dopo esser stati insieme, lei si mise a piangere. Le chiesi il perché e Lisa mi disse che non lo sapeva il perché; poi mi baciò con amore obbligandomi a promettere che ci saremmo sentiti spesso, e che presto, finito il viaggio nell'America del Sud, sarei dovuto ritornare in Inghilterra. Ripresi a baciarla senza rispondere.

Al primo scalo telefonai ai Gallieri che furono molto felici di sentirmi, e Mr.Gallieri mi disse che aveva delle buone notizie. La polizia stava scoprendo i colpevoli del furto. Senza dubbio era un gruppo di italiani, gente che parecchie volte era stata nella sua casa; gente che lui aveva aiutato. Gli dissi che ero molto felice per lui e per tutti quanti, e dopo aver riattaccato, pensando a quegli individui marci fino al punto di tradire una persona come Mr.Gallieri, provai un terribile senso di amarezza. Quegli individui marci avevano tradito un italiano immigrato all'estero come loro; uno che in più si era fatto in quattro per aiutarli. Invocai giustizia.

Più tardi chiamai Lisa, ma non la trovai. Non lasciai messaggi, fra qualche minuto sarei ripartito.
Per tutto il tempo di quel viaggio non telefonai più a nessuno, e passando i giorni, pensai che quello di Lisa e dell'Inghilterra, era un capitolo della mia vita ormai chiuso.
In quel nuovi mesi di navigazione mandai invece diverse lettere a Gaetano. Sempre di notte gli scrivevo, poco prima di coricarmi. Forse erano lettere che non avevano tanto senso, ma era notte ed ero solo, e scrivendo, sentivo che anch'io, lontano, avevo una casa con qualcuno che mi aspettava.

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Sunday 7 July 2013

Notturni Londinesi - La ragazza francese


Per favore fermati, vado a casa a piedi. Ha ragione mio padre nel dire che sei un uomo che ha perso la testa.
Tuo padre è solo capace di blaterare.
Non ti permetto di usare queste parole nei suoi confronti.
Dico solo la verità.
Fammi scendere ho detto!
No, assolutamente­.
Così non si trattano nemmeno i cani hai capito?
Non urlare. sto guidando. In questa tua sceneggiata sei veramente patetica. Fra l'altro Annabelle è anche amica tua. Certo, ma dimentichi un particolare. Io non sono mai andata a letto con lei.
Sai bene che è una storia vecchia, e all'epoca non stavamo neppure insieme. Non riesco a capire dove sia il problema. E poi ti credevo più evoluta.
Certo, e per evolvermi dovrei accettare a casa nostra una tua ex amante.
Che tipo di risposta è questa? Sei soltanto piena di pregiudizi.
Non sono pregiudizi, So che vedo tutto confuso.
Non c'è nulla di confuso. Devi solo aver fiducia in me. come sempre. Non puoi cancellare dalla nostra vita una persona come Annabelle. Se ci siamo conosciuti lo dobbiamo a lei. Perché ora non vuoi più rivederla?
Non sono tranquilla. Rivedendola potresti...non so.
No, non c'è bisogno di piangere, ti ripeto che Annabelle mi ha scritto per avere notizie, per sapere che faccio. Per lei ero come sparito nel nulla. Io le ho solo risposto raccontandogli di me, dei miei genitori, del nostro matrimonio. In fondo alla lettera ho soltanto aggiunto di venirci a trovare, non una parola di più. Tutto questo ti sembra sufficiente per ricevere valanghe di offese?
Mio padre ci vuole bene. Ha parlato così perché ha paura che quella donna possa dividerci.
Se avessi intenzione da scappare con lei credi che mi comporterei in questo modo?
Ti scongiuro, non urlare tu adesso. E fai attenzione. Guidi come un pazzo. Fermati. Per favore.
Bene. Qui c'é il parcheggio di un pub. mi fermo. Ma non si scende dalla macchina, intesi? ascoltami bene. Può darsi che io abbia sbagliato dicendoti della lettera di Annabelle in ritardo. Forse ho agito superficialmente. ma in buonafede. Ero veramente convinto che avresti avuto piacere nel rivedere la nostra amica francese. Ho anche pensato, magari poi ci inviterà a Dieppe, a casa sua, come ai vecchi tempi. 
Lo vedi, continui a fare programmi senza nemmeno interpellarmi, e inoltre continui a parlare di una nostra amica francese. A questo punto vorrei puntualizzare che Annabelle é una tua amica. Quanto hai fatto é terribile. Pensa a quando ci siamo sposati, alle cose che mi hai promesso, a Simon, il nostro bambino...
Sei una donna ridicola; ridicola come la reazione dei tuoi genitori. Immaginavo tanta stupidità nella nostra casa ma non fino a questo punto. Uno schiaffo? no, questo non lo dovevi fare.
Se sei stanco di noi. lasciaci perdere ma non prenderci in giro come hai fatto con quella lettera!
Ora ti porto a casa, ma ricordati che questo ceffone lo paghi salato. E da domani manda tuo padre in ufficio a tirarsi il collo come faccio io tutti i giorni. Hai capito?
Non dire sciocchezze.
Non dire sciocchezze?
Se vuoi la nostra rovina sei libero di fare ciò che vuoi.
Ecco, il ricatto.
Non é un ricatto, sai benissimo che mio padre ha la pressione alta e non potrebbe mai andare in ufficio al tuo posto.
Sul serio? se con la pressione alta é stato in grado di offendermi gridando come uno scellerato, sono sicuro cha potrà anche andare in ufficio al mio posto.
Sei un essere crudele.
Già, sono crudele, e forse anche un po' masochista. Sta a sentire. Io la mattina mi sveglio molto presto, tu naturalmente dormi. Scendo a pian terreno. La prima persona che vedo é tua madre, che con una faccia da vomito prepara la mia colazione a quella di tuo padre; figura quest'ultima su cui preferirei sorvolare. Dopo questo confortante risveglio, durante il quale nessuno si sforza di fare un sorriso o di dire buongiorno, incontro nostro figlio, anzi quell'ottuso di nostro tiglio, considerato il suo ormai totale ottenebramento mentale causato dalla musica. Con lo spirito colmo di gioia finalmente esco di casa e me ne vado in ufficio dove mi aspettano guai. seccature e preoccupazioni. Ma riesco a superare tutto perché presto verrà 
la sera e quindi l'ora di tornare a casa; momento illuminato dalla tua presenza a cena: momento nel quale hai quasi sempre l'aria di un animale imbalsamato; addormentata, distante.
Sei un maledetto porco.
Aspetta, non aver fretta, questa e solo una parte della mia meravigliosa vita. Lasciami finire di raccontare. Ti prego. Non posso certo tralasciare i fine settimana entusiasmanti trascorsi al pub con Susan e James; serate che significano alcol, alcol e alcol. Se non avessi qualche buon amico con cui passare ogni tanto qualche ora, a questo punto mi potrei tranquillamente suicidare.
Sei un porco, porco, porco. porco!
Accidenti, stavo dimenticando altri due aspetti di vitale importanza. Il primo, consiste nel rovinarsi gli occhi davanti alla televisione; unico svago serale durante la settimana. Il secondo, di immenso significato nella vita di coppia, non poteva essere cha il sesso; attività corporea, nel nostro caso, possibile soltanto dopo essersi sbronzati completamente.
Lo vedi. Pensi solo a scopare. E non ti é parso vero di ritrovare la piccola, immacolata francese. Me la ricorda bene sai? ha l'aria di una santa, invece é una delle peggiori puttane cha io abbia mai conosciuto. Sei ripugnante; un essere schifoso capace soltanto di pensare a puttane come quelle.
Questa sberla te la sei proprio cercata, e se prima di arrivare a casa apri ancora quella dannata bocca ti faccio sputare tutti i denti! hai sentito bene maledetta stupida!
Fregandosi spesso il naso e gli occhi con un piccolo fazzoletto, Brigid rimase ben attenta a non aprir più bocca. L'atmosfera era incandescente e sapeva bene che Martin stava facendo sul serio. Il ceffone era stato forte, la guancia bruciava, ma era stata lei ad iniziare a muovere le mani, quella reazione se la doveva aspettare. E con il bruciore alla guancia, cresceva l'astio per Annabelle; una vipera, pensava, che in pochi giorni le aveva sconvolto la vita. E se Martin l'avesse piantata per quella puttana francese? no,era un pensiero da rimuovere subito. Senza di lui si sarebbe sentita perduta, avrebbe dovuto mettersi a lavorare per mantenersi. E poi c'era la sua famiglia che viveva solo della pensione, No, non poteva nemmeno pensarla un'eventualità del genere. Se viveva bene, se i suoi genitori vivevano bene, era in gran parte merito di Martin. Malgrado tutto, ora più che mai doveva essere del tutto intransigente e irremovibile. Annabelle non era gradita, e quell'invito assumeva il significato di un affronto. Martin doveva rimediare quella situazione pericolosa nel più breve tempo possibile; doveva scongiurare l'eventualità che Annabelle venisse da loro in Inghilterra.

Martin guidava pensando alla sua vita. Appena sposato, vivendo solo con Brigid in una piccola casa comprata quasi totalmente con il mutuo. Martin sentiva di amare i genitori di sua moglie, e per questo, solo un anno più tardi, fu proprio lui a lanciare la proposta di vivere tutti assieme in una casa più spaziosa e confortevole; decisione infelice, sfociata presto in litigi e incomprensioni familiari, causati anche dalla nuova abitudine di vedersi e di incontrarsi quotidianamente negli stessi spazi. In poche stagioni la sua vita si era capovolta e quella della sua nuova famiglia era l'epilogo di un'illusione.
In un breve spazio di tempo prima di sua madre Frances, e poi suo padre William erano scomparsi.
Figlio unico. a diciannove anni Martin era rimasto solo e sconvolto, unico appoggio e sollievo Brigid; la ragazza che aveva conosciuto nella seconda e ultima estate trascorsa da Annabelle a Dieppe, in una vacanza-studio organizzata da una scuola di lingue. In quei due brevi periodi estivi, Martin aveva riscosso i successi più importanti della sua vita; subito Annabelle, poi il colpo di fulmine con Brigid. E dopo aver parcheggiato la macchina, seguendo con rancore la figura massiccia della moglie che a passi militari andava verso casa, Martin ritornò a pensare ad Annabelle. Gli capitava ormai tutte le notti da quando aveva ricevuto la sua lettera. Brigid si girava pigramente nel letto, e lui ad occhi aperti nel buio, fantasticando un nuovo rapporto con Annabelle, ricordava quel pomeriggio deserto e molto afoso nel quale era stato con lei la prima volta. Durante una gita in bicicletta si erano fermati in un piccolo bosco, e dopo averla baciata, aveva allungato le mani come era abituato a fare al cinema con qualche ragazza dei quartieri di Londra, la sua città. Annabelle non lo aveva fermato e Martin era riuscito a fare l'amore con tanta dolcezza come mai gli era accaduto. Una settimana più tardi sarebbe arrivata Brigid, anche lei in viaggio-studio. Il padre di Annabelle amava avere ragazzi per casa. per questo aveva accettato la convenzione con una scuola di lingue di Londra. Martin fu subito attratto dalla corporatura possente di Brigid: una ragazza della sua stessa città, con addosso la stessa pelle e la stessa determinazione, il contrario della delicatezza e della sensibilità di Annabelle. Lui e Brigid legarono subito. ma oltre ad Annabelle, c'era la scadenza del soggiorno a impedire a Martin di andare fino in fondo con lei. Si sentiva comunque tranquillo, la cosa era solo rimandata di qualche settimana, a quando Brigid sarebbe rientrata in Inghilterra. Le disgrazie dei genitori mandarono a monte ogni suo programma, e trovandosi senza famiglia, Brigid era via via diventata per lui il suo unico punto di riferimento.
Erano soliti passare molte sere nei pub a divorare bistecche e patate fritte, prima di andare a scopare in macchina o in qualche camera a ore. Una gelida sera d'inverno Brigid gli aveva chiesto, perché non ci sposiamo e ce ne stiamo in casa al caldo in notti come queste? in uno stato d'animo colmo d'amarezza e di rimpianti, Martin aprì la porta di casa. davanti a lui la scala, la porta della cucina, la sala da pranzo illuminata. Posando in terra la sua valigetta da lavoro, e respirando l'aria di ambiente che gli appariva ogni giorno più ostile si domandò, perché Annabelle non risponde?

In famiglia si era creato un clima di allerta generale. Annabeile avrebbe fatto un'improvvisata. Ecco il motivo del suo silenzio. Con questa costante convinzione, Brigid era quella a star peqqio di tutti. Un nuovo litigio con Martin, l'aveva portata ad agire di sua iniziativa e ritrovato l'indirizzo di Annabelle le aveva spedito una lettera. Diverse righe, dove dopo aver enfatizzato il suo matrimonio con Martin, dichiarandosi una moglie e una madre felice e serena, mostrava dispiacere per essere nelle condizioni di dover cancellare l'invito in Inghilterra espresso da Martin. Tutto ciò a causa di una bronchite molto fastidiosa che stava dando a suo figlio Simon seri problemi. Scusandosi nuovamente, scrisse inoltre che appena possibile si sarebbe di nuovo messa in contatto per un nuovo invito, Brigid concluse quindi la lettera, precisando cha aveva scritto lei in considerazione dei numerosi impegni aziendali di Martin in quel periodo. Brigid imbucò la lettera sentendosi soddisfatta e gonfia di orgoglio. Quella poche righe avevano assunto per lei il sapore della vendetta, dopo giorni di sofferenza e mortificazioni. Ma durante la notte cambiò opinione su quanto aveva scritto. Avrebbe dovuto essere più dura: liquidare con quattro parole quella Annabelle. Era stata troppo diplomatica verso una persona che voleva mandarle all'aria il matrimonio. Essendo troppo cordiale, la lettera dava la possibilità alla ragazza francese di tornare all'attacco. Ma anche nei giorni seguenti non successe nulla. Silenzio assoluto.

Unica cosa degna di nota il glaciale e comportamento di Martin. Oltre a non fare più alcun riferimento all'invito di Annabelle, in casa evitava qualsiasi scontro verbale, mantenendosi estraneo da qualsiasi problema familiare. Questo portò Brigid, prima a un'ipotesi, poi a una certezza, Martin sapeva della sua lettera; sapeva tutto perché si incontrava con Annabelle. La ragazza francese non poteva essere scomparsa nel nulla. Ad eclissare ogni suo dubbio su questa amara verità, erano stati i suoi vani tentativi di fare l'amore con lui. Martin aveva sempre reagito dicendo di essere troppo stanco o di avere il mal di stomaco: scuse, scappatoie addirittura irritanti. Brigid cominciò a presagire l'inizio della fine del suo matrimonio. Doveva a tutti costi fare qualcosa. E in preda a una crisi di nervi, logorata da alcune notti insonni, pensò che l'unica soluzione era quella di dar prova a Martin dell'onestà delle sue azioni e dai suor sentimenti. Convinta che solo così si sarebbe riavvicinata al marito, una notte scaricò tutta la sua angoscia, confessando la spedizione dalla lettera, Parlò senza fermarsi per diversi minuti. Come un fiume in piena vomitava parole e parole che volevano esprimere lealtà e amore in nome di un matrimonio che era stato messo in pericolo. Alterata e paurosa raccontava ogni dettaglio a Martin che la guardava con occhi duri. Con quella lettera Brigid gli aveva infranto il sogno di rivedere Annabelle; e in più gli aveva fatto fare la figura del marito imbecille. Fu a questo punto che Martin mi telefonò. Era furioso, disperato, ma risolutamente deciso nel lasciare sua moglie e la sua famiglia, forse per sempre. Non aveva altra via d'uscita per dar peso alla sua dignità di marito, di uomo. Parlai con mia zia di quanto era accaduto a Martin, e lei, a patto che fosse una cosa temporanea, mi disse che non aveva niente in contrario nell'ospitarlo a casa nostra. Fin dagli anni della scuola io e Martin eravamo buoni amici. Era al corrente che vivevo con mia zia Gertrude; era sicuro di poter contare su di me. Solo dopo poche ore dal suo trasloco iniziarono i problemi, che consistevano soprattutto nell'ascoltare i vari conoscenti della sua famiglia, mandati da noi con lo scopo di convincere Martin a ritornare. Ma lui non desiderava parlare con nessuno, e alla fine ero sempre io a dovermi sbarazzare di loro. La situazione era a dir poco imbarazzante, ma Martin era un amico in difficoltà che andava aiutato. Tutto questo durò per circa due mesi, fine a che un sabato mattina il postino consegnò a Martin un telegramma arrivato dalla Francia.
Alla parola "Francia" Martin fu preso da agitazione e sconcerto. E' Annabelle che mi informa del suo arrivo, continuava a ripetermi prima di mettersi a leggere. Carissimi Martin e Brigid Holmes, ho atteso qualche tempo prima di rispondervi. Subito mi era troppo difficile. So che aspettavate Annabelle a Londra e so quanto l'amavate. Annabelle è morta in un incidente stradale il 10 giugno scorso. Fatevi forza e continuate ad amarla. Parlava spesso di voi e non vedeva l'ora di incontrarvi. Purtroppo sono ambasciatrice di tale disgrazia. Scrivetemi pure se lo vorrete, sono la zia di Annabelle. Mi farebbe molto piacere incontrarvi. Nel caso potrei anche ospitarvi qui a Dieppe. 

Con molto affetto

Vostra Francoise Dufrenne
48 rue de Plèbiscite
Dieppe


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